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Gruppo Scout AGESCI Saluzzo 1

Decimo messaggio – Kabul

Lunedì 22 Aprile 2002

Qualche sera fa è di nuovo stata una maledetta nottata passata in sala operatoria.
Alle 7 l’ambulanza di Emergency porta 3 fratelli con diagnosi di “lesioni da mina”.

Il primo che vedo è un ragazzino di 7 anni: è orribile, ha il viso sfigurato, naso e bocca sono irriconoscibili, perde sangue dal retto, il braccio sinistro e la mano destra sono a pezzi, ma è vivo. Il fratello di 13 o 14 anni ha una scheggia nel cervello, è cosciente, oltre a ferite minori.

Il terzo, un uomo sui 20 anni, respira con difficoltà, 2 schegge nel collo ed una nella guancia trapassante bocca mascella e naso. Stavano coltivando il campo sulle colline di Charikar, villaggio sulla linea del fronte durante la guerra tra Taliban e Mujheaddin, zona dei bombardamenti americani tra ottobre e novembre scorso.

L’infermiere racconta che con la vanga girando una zolla il maggiore ha scoperto una specie di grosso proiettile inesploso lungo almeno 30 cm e subito è successo l’inferno.
In sala operatoria siamo pronti ad operare il bimbo, c’è silenzio totale perché tutti ne capiamo la gravità, ma il battito cessa prima di iniziare l’intervento, la rianimazione è inutile.
Akbar, giovane chirurgo afghano, mi guarda negli occhi: “These things will happen for a long time in Afghanistan”, queste storie capiteranno ancora a lungo in Afghanistan, mi dice.

Andiamo avanti con gli altri due fratelli, in silenzio, con la rabbia dentro. Dicono che con la guerra “chirurgica” solo gli obiettivi militari sono colpiti, dicono che la guerra è giusta per fermare il terrorismo, dicono che qualche “effetto collaterale” è inevitabile e tante altre fottutissime frasi fatte, da benpensante seduto in poltrona davanti alla TV.

Ma finita la guerra spettacolo, nessuno pensa che i 10 milioni di ordigni inesplosi in Afghanistan continueranno a martoriare questa popolazione per decenni, nessuno dice che ormai nelle guerre di oggi più del 90 per cento delle vittime sono civili.

Nessuno dice che le mine sparse sono armi da distruzione di massa al rallentatore: lo vedo ogni giorno in ospedale, questo stillicidio continuo di bambini, giovani o vecchi che arrivano a pezzi.

Nessuno dice che spargere le mine con gli elicotteri come fossero caramelle, o giocattolini per bambini, è un atto di terrorismo, perché più nessuno è libero di andare nel campo a coltivare, o a prendere l’acqua fuori dalla strada principale.

L’Afghanistan soffre di quello che si può considerare un vero e proprio “inquinamento da mine”.

Il fratello più grande si esprime con difficoltà, la tracheostomia gli impedisce di parlare (del resto le schegge nel collo gli avevano procurato una tale emorragia che, senza tubo in gola, sarebbe morto soffocato), ma inizia a bere ed a muoversi. L’altro fratello, con la scheggia nel cervello, è fuori pericolo.

Venerdì – festivo per il mondo musulmano – ho voluto percorrere la strada che fanno questi disgraziati per arrivare al nostro centro chirurgico: un’ora e mezza di una pista costruita dai russi, incassata e tortuosa in una profonda gola selvaggia dove scorre un piccolo torrente.
Un paesaggio allucinante, duro, da sport estremo con fuoristrada da cento milioni: peccato che viaggiare su di uno sgangherato pulmino wolksvagen (l’ambulanza), o peggio ancora su di un vecchio taxi giallo, non sia proprio una delizia, specie se hai una gamba a pezzi e sanguini dappertutto.

Gli scossoni, le buche, le curve …pensavo al viaggio dei tre poveretti, al dolore ad ogni scossone, solo per la sfiga di essere nati in un paese minato!
Silvio

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