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Gruppo Scout AGESCI Saluzzo 1

Ottavo messaggio – Kabul

Giovedì 4 Aprile 2002

Talef era un grosso villaggio a 2000 m. d’altitudine sulle propaggini dell’Hindukush, una posizione magnifica da cui si domina tutta la piana dello Shomali, piante da frutto e rigagnoli di acqua dappertutto.
Ora è un villaggio fantasma, ridotto a cumuli di macerie, bruciato casa per casa dai Taliban: camminiamo lentamente per la strada principale, sembrano le rovine di Pompei, nessuna bomba è arrivata quassù, è bastato soltanto un incendio meticoloso, accurato, che non ha lasciato intatta una sola abitazione.

Per arrivare a Talif si attraversa una pianura ora arida e spoglia: ci fermiamo per parlare con alcuni ragazzi che lavorano ad un pozzo improvvisato.
Ci raccontano che dalla montagna scendono centinaia di canali sotterranei naturali di acqua: la gente aveva scavato pozzi per irrigare i campi, i Taleban prima della ritirata li hanno riempiti tutti di enormi pietroni, addirittura trasportati con i camion, così come hanno tagliato gli alberi da frutto lungo la strada: tutto questo per affamare le popolazioni Tagike della zona.

Sulla strada vedi ogni tanto dei container squarciati dal di dentro: ti dicono che i Taliban li riempivano di prigionieri Mujaheddin e poi, attraverso un foro in alto, ci buttavano dentro una granata! Una morte orribile.

Perchè tutto questo? Perchè i Taliban – ci dicono sempre questi ragazzi – che sono Pashtun provenienti dal Pakistan, non vogliono che noi Tagiki abbiamo delle cose belle come questi campi irrigati, questi alberi da frutta, queste nostre case sulle colline.

Questi ragazzi non potranno mai perdonare ciò che stanno vivendo: la guerra è anche questo.

In mezzo alle macerie di Talif tre ragazzi stanno lavorando in un negozietto riattato alla meglio: il più piccolo gira la ruota del mantice per tenere viva la brace, gli altri due battono e forgiano il ferro ardente: avranno non più di 13-14 anni.

E’ un segno di ricostruzione, è un segno che la gente a poco a poco sta ritornando nei propri villaggi.

Emergency ha deciso di impiantare al più presto a Talif un FAP (First Aid Post), un piccolo pronto soccorso con un medico afghano ed alcuni infermieri del posto: si deve rimettere in sesto una vecchia fatiscente struttura russa di 2- 3 camere.
Servirà per stabilizzare i casi gravi (il ferito da mina ad esempio) permettendone il trasporto urgente in ospedale, e farà anche da ambulatorio per tutta la gente della montagna.

Il “commander” Mujaheddin ci riceve con grande ospitalità: sul tetto piatto di fango e paglia della casa ci sediamo, senza scarpe, su di un magnifico tappeto persiano, ci viene servito pesce fritto con mandorle zuccherate.
Il comandante ci racconta la sua guerra con i taliban: c’è un grande odio nelle sue parole e mi viene in mente il buskasci.

Il buskasci è un tipico gioco afghano originario della Mongolia: due squadre di 12 cavalieri su bellissimi cavalli mongoli si contendono una capra a cui è stata tagliata la testa. E’ come il gioco del polo, ma molto più violento e la palla è la capra mozza.

Mi trovo a pensare come la capra sia il popolo afghano: tutti hanno giocato con questa gente, gli inglesi, i russi, i pakistani con i vari Bin Laden del momento, ora gli americani.

Quando finiscono il gioco, lasciano un popolo devastato e mutilato nel corpo ma soprattutto nell’anima.

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