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Sesto messaggio – Kabul

Giovedì 28 Marzo 2002

Soraya è una bambina afghana di 4 anni, respira male quando arriva d’urgenza, quasi ansima sdraiata sulla barella nel nostro pronto soccorso, pallida, lo sguardo spaventato e sofferente: gli infermieri mi fanno vedere un piccolo buco all’emitorace destro, una radiografia conferma un proiettile nell’addome.
Subito in sala operatoria: lesioni al polmone, diaframma, fegato ed intestino.
Quando esco dalla sala è già buio, la madre è seduta in un angolo sul marciapiede dell’ospedale, si è tolta il burka, in silenzio, con la testa tra le mani.

Soraya viene da Charikar, un grosso villaggio a circa un’ora e mezza da Kabul, nella piana dello Shomali: stava giocando per strada quando la vedono accasciarsi. In quel momento era in corso una sparatoria lontano, dove iniziano le colline: un proiettile di kalaschnicov era arrivato fino a lei, per caso, per una maledetta sfortuna; certamente era un proiettile a fine corsa, altrimenti l’avrebbe spappolata.

A Charikar Emergency ha aperto un FAP (First Aid Post), un piccolo pronto soccorso dove sono sempre presenti un medico afghano, due o tre infermieri ed un ambulanza a disposizione: è una rete di primo soccorso che stiamo diffondendo in diverse zone lontane da Kabul, e questi centri sono essenziali affinché i feriti gravi giungano in ospedale stabilizzati.

Il giorno dopo parlo con la mamma di Soraya: hanno un piccolo negozio sulla strada principale, alcune capre che il figlio più grande porta sulle colline tutte le mattine, un campo fuori dal villaggio, una vita semplice e tranquilla.

Il guaio è che a Charikar come in tutto l’Afghanistan, il kalaschnicov ce l’hanno tutti!
E’ l’arma più comune e a buon mercato.

Oggi Soraya è seduta al sole, nel giardinetto antistante il repartino di terapia intensiva: gioca con un pupazzetto rosso che non so da dove arriva.

Esmatullah e Salim sono due ragazzini di 14 anni, andavano a prendere l’acqua nei pressi dell’aeroporto di Kabul e sono saltati su una mina. Sono arrivati in ospedale su di uno sgangherato vecchio taxi giallo. Salim ha perso un occhio ed ha il viso tutto ustionato, Esmatullah e’ stato amputato al ginocchio a destra ed al piede a sinistra, con ferite alle cosce fin sotto ai genitali.

Era probabilmente una mina di fabbricazione sovietica, una PMN con carica esplosiva maggiore, 150 grammi di TNT contro i 40 delle mine piu’ comuni.

Fawod, 18 anni, andava al cimitero appena fuori Kabul.
Lo vedo dalla mia camera, il cimitero musulmano sul pendio di una collina, tanti tumuli di pietre sparsi, molte bandiere verdi mosse dal vento costante della citta’, qualche tomba di personaggi importanti circondata da una piccola ringhiera in metallo con cancelletto.

Il padre era morto qualche giorno prima e Fawod lo visitava in occasione del capodanno musulmano. Come e perché c’era una mina proprio lì non si capisce, forse trasportata dalla collina dalle piogge dei giorni precedenti.

Anche Fawod viene amputato alla coscia, e resta con ferite invalidanti all’altra gamba.

Questo e’ l’orrore quotidiano della guerra, uno stillicidio continuo, costante tutti i giorni.

L’ospedale conta cento letti, ed ogni letto e’ occupato da bambini, uomini e donne con storie diverse.

La guerra e’ ciò che li accomuna.

Ma dietro ad ogni storia ci sono sofferenze e drammi umani, ci sono persone che restano invalide a vita in un paese dove già e’ difficile campare in condizioni normali.
L’ospedale di Emergency in Kabul e’ dotato di un reparto, il reparto B, appositamente per i prigionieri talebani, 15 letti occupati da talebani feriti in questi mesi, uomini dalla lunga barba nera incolta, pasthun di Al-Qaeda dallo sguardo fiero, ma anche anziani che sembrano appartenere ad un antico mondo biblico.

Alcuni sono stati catturati dai mujaheddin dell’Alleanza del Nord, altri dagli americani: questi ultimi arrivavano con le fascette di plastica da meccanico strette ai polsi, ed un numero di codice, un po’ come quando si marchia il bestiame.

Un ragazzo di 17 anni, Nassib, e’ stato colpito da più proiettili, operato su una nave americana e quindi trasportato nelle prigioni di Kabul, stava marcendo in una piccola cella nel seminterrato dove erano in otto, unica luce una piccola finestra in alto.

Nassib non ha più l’ano ne’ l’uretra, defeca ed urina nel sacchetto che viene cambiato tutti i giorni, l’anca sinistra e’ infetta per un proiettile che gli ha passato la testa del femore.

Gli chiedo cosa sa di Bin Laden: ne ha sentito parlare, niente di più. Combatteva perché i pasthun hanno sempre combattuto contro le etnie del nord, e certamente i problemi non li risolvono gli stranieri: appena gli americani se ne vanno, le ostilità riprenderanno.

Ma questa affermazione la sento ripetere un po’ dovunque.

Ieri mattina Nassib mi ha chiesto un quaderno ed una matita, vuole scrivere, scrive in arabo, si muove sulla sedia a rotelle: sta tornando a vivere.

Non oso dimetterlo pensando alla cella che lo aspetta.

Forse con la Loja Girca, l’assemblea generale straordinaria di oltre 1500 rappresentanti di tutte le etnie afghane che si dovrebbe tenere tra pochi mesi, i prigionieri di guerra verranno liberati, Nassib potrà essere libero, ma sarà sempre un grave invalido in un paese disgraziato.

Davvero in questa fottutissima guerra non ci sono ne’ vincitori ne’vinti.!

 

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Situazione terremoto
Emergency si e’ messa a disposizione del Ministero della Sanità afghano: domani partirà un convoglio di cibo, coperte e medicine per oltre 200 milioni di lire, cifra immediatamente approvata dalla sede centrale di Milano.

Il ministero afghano ci ha anche affidato la gestione delle emergenze nell’ospedale distrettuale di Pol e Homri, il più vicino a Baglam, epicentro del terremoto.

Una equipe chirurgica partirà probabilmente domani da Kabul per tale ospedale, il chirurgo e’ il kurdo Hussein.

Nel Panshir, l’ospedale di Anabah, sempre di Emergency, è allertato e pronto ad accogliere feriti.

A Kabul resterò soltanto io, responsabile dell’ospedale, con alcuni giovani chirurghi afghani: nell’ospedale di Kabul dovrebbero arrivare i casi ortopedici o chirurgici più complessi, trasferiti con elicottero o ambulanza.

Oggi ho dimesso gente e ci sono al momento 23 posti liberi per feriti gravi, penso si tratterà soprattutto di casi di crush syndrome, traumi da schiacciamento con fratture degli arti.

Tutto questo tenendo sempre presente che continuano ad arrivarci i feriti da guerra!
Oggi pomeriggio ne sono arrivati 4: con la macchina sono usciti di poco dalla pista – non so perché – e sono saltati su di una mina capottandosi.

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