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Gruppo Scout AGESCI Saluzzo 1

Quarto messaggio – Kabul

Sabato 16 Marzo 2002

La piana dello “shamali” fino a qualche anno fa doveva essere in bellissimo giardino, un’area pianeggiante estesa per quasi 50 km appena fuori Kabul: vigneti ed alberi da frutto di ogni tipo la rendevano “il giardino dell’Afghanistan” dice qui la gente.

Una pianura circondata da vette innevate tutto l’anno, le ultime propaggini occidentali dell’Hindukush.

Lo sguardo si perde in un orizzonte ampio, si respira a pieni polmoni un senso di grandezza, di maestosità.

Le case erano piccole fattorie isolate, o raggruppate in villaggi di poche persone: abitazioni fatte di fango e sterco, ad un piano, tutte rigorosamente color fango impastato.

Qualcuna aveva una torretta che la faceva sembrare un castello. L’impressione era di trovarsi in in mondo persiano di molti secoli fa.

Ho attraversato la piana dello “shamali” di recente per andare nel secondo ospedale di Emergency nella valle del Panshir: lo spettacolo è desolante ed angosciante.

Non una singola casa intatta, rovine dappertutto, alberi da frutto e vigneti bruciati.

Per anni qui si sono combattuti taliban e muhejaddin, ed è stata la linea del fronte anche nella recente guerra: dagli inizi di ottobre per un mese tutti i giorni i B52 americani hanno scaricato migliaia di tonnellate di bombe.

Racconta la gente che la terra tremava quando arrivavano al suolo “pillole” da sette tonnellate di esplosivo.
Tutto distrutto, tutto bruciato.
Prima dell’arrivo dei taliban la zona era stata minata dai sovietici, ed ancora adesso lunga la strada, unica strada, pietre verniciate di rosso sui bordi segnalano di non uscire dalla pista: pericolo di mine.

Carri armati sovietici arrugginiti sui bordi della strada ricordano una guerra che dura da anni, quelli dei taliban colpiti dalle bombe americane si riconoscono subito: sventrati e squarciati magari con la torretta sparata a 20 metri.

Questo che era una volta un paradiso terrestre è ora un deserto, non ci vive più nessuno.

Arriva qualche sera fa in ospedale un anziano con la lunga barba bianca, un viso scolpito dalla sofferenza, gli occhi azzuri: era saltato su una mina perché voleva ritornare a vedere le rovine del suo villaggetto: Bagram.

E’ uno dei tanti villaggi con una densità di mine altissima perché in quella zona i russi avevano costruito il più grande aeroporto del paese, una pista lunga 4 km, ora base dei marines americani.

E lo avevano circondato da migliaia di mine. Era una mina sovietica: dalle lesioni riconosco ormai la carica esplosiva ed il tipo di mina. Amputato alla coscia a destra, ferite multiple a sinistra, si aggiunge al milione di amputati presenti in Afghanistan.
Silvio

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