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Secondo messaggio – Iraq

lunedì 27 ottobre 2003

Sulaimanya –  IRAQ

Mamo è un ragazzino di 12 anni, ce lo porta l’ambulanza di Emergency dal confine iraniano: sono due ore piene di strada non troppo brutta. Mamo ha toccato qualcosa che era per terra, ma il padre non sa o non vuole specificare meglio. Tutti sanno qui che il confine tra Iraq ed Iran è stato a lungo zona di guerra tra questi due paesi, pare sia disseminato di mine ed altri ordigni inesplosi, ed Emergency vi ha costruito dei punti di pronto soccorso. Dopo circa un’ora e mezza di intervento, Mamo esce dalla sala operatoria vivo ma gravemente mutilato: ha perso l’occhio destro e con il sinistro vede appena la luce, è stata amputata la mano sinistra e tutto il braccio destro ha ferite profonde, così come le due gambe, un drenaggio toracico raccoglie il sangue dal polmone destro. Mi sembra di rivivere la storia dell’Afghanistan dell’anno scorso: cambiano i nomi, la lingua, i paesi ma il copione è sempre lo stesso. L’oculista che abbiamo chiamato scuote la testa: forse servirebbe un trapianto di cornea a sinistra, ma a Baghdad nessuno può certo farlo, provate a Teheran, costerà un mucchio di soldi…ci dice.
Lo stesso capita ad un ragazzo sui 20 anni, tre schegge penetranti nell’addome. E poi arrivano da Kirkuk cinque feriti: erano di ritorno da Baghdad su di un pulmino quando un gruppo di predoni – li chiamano Alì Babà – hanno sparato all’autista che però è riuscito a fuggire: alcuni si sono salvati, 3 sono morti e 5 li hanno trasferiti da noi dopo un primo soccorso all’ospedale principale di Kirkuk.
Kirkuk è una grande città sulla strada che da Baghdad porta nel Nord, verso Mosul. Ci sono passato per arrivare a Sulaimanya: è una città di pozzi petroliferi contesa in passato tra i kurdi e Saddam Hussein. Sporca e rovinata, è in mano adesso alle milizie irachene, che devono assicurare l’ordine interno; non vedo militari americani, ma loro – mi dicono – si preoccupano di custodire i pozzi di petrolio…In lontananza vedo due pozzi bruciare con denso fumo nero.
Qui all’ospedale di Emergency a Sulaimanya sono rimasto da solo come staff internazionale: lavorano con me tre giovani chirurghi kurdi, Haffan, Alwar e Faraidhum. Haffan racconta: ha la giovane moglie che sta facendo chemioterapia per un tumore che in queste zone non era comune, ma i farmaci non si trovano, e sono molto costosi, anche per un medico…e poi dovrebbe fare la radioterapia, che a Baghdad prima di questa guerra facevano, ora forse preferisce portare la moglie a Teheran. Ma il tumore…forse le armi chimiche, e poi l’uranio impoverito…non sa.
Gli altri di Emergency, Mario il coordinatore medico del programma, Helga una infermiera e Claudio l’architetto sono a Baghdad, 4 ore di macchina da qui. Proprio oggi che è una giornata nera a Baghdad: 5-6 attentati contro gli USA, il terrorismo islamico aspettava l’inizio del Ramadan per iniziare la controffensiva. In ospedale raccontano ciò che sentono alla radio, tutti malati ed infermieri parlano dell’inferno di Baghdad. Hemin, uno dell’amministrazione dell’ospedale e che sente sovente la sorella a Baghdad, mi dice: non credere che se alla televisione dicono che c’è stato un soldato ucciso sia davvero così, sono sempre di più le vittime reali. E non credere che la gente vede bene gli americani: hanno fatto molto per liberarci da Saddam, ma ora sono visti come truppe di occupazione che non fanno niente per la gente normale…
Anche noi viviamo blindati, casa ospedale ed ospedale casa; il quartiere dell’ONU qui a Sulaimanya sembra un fortino, con blocchi di cemento, sacchi di sabbia, filo spinato e mitragliatrici in ogni angolo…
Mario Helga e Claudio sono diretti a Karbala, grande città araba sciita a sud della capitale, un’ora di macchina: lì Emergency deve iniziare a giorni la costruzione di un centro chirurgico per i feriti di quell’area.
La politica di Emergency è sempre uguale: si guardano i bisogni reali della popolazione civile, e così in Afghanistan gli ospedali sono stati aperti sia in zona di mujaheddin che di talibani, e qui in Iraq nel Nord tra i kurdi perseguitati da Saddam Hussein, ma anche ora tra gli arabi sciiti martoriati dalla “libertà disorganizzata” come chiama oggi Rumsfield la situazione ingestibile del paese.

Spero che Mario Helga e Claudio tornino presto…

Silvio Galvagno

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