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Gruppo Scout AGESCI Saluzzo 1

Commemorazione dell’eccidio di Valmala 6 marzo 2016 – Il discorso completo

Carissimi,

è per noi molto importante essere qui oggi e siamo emozionati e grati allo stesso tempo di poter tenere questo discorso.

Abbiamo la possibilità di esprimere cosa significhi per noi Valmala, e perché La Resistenza e l’azione dei partigiani siano tanto importanti per noi scout.

Siamo i ragazzi del Clan “Caterina” del Saluzzo 1, parte del grande movimento scout diffuso in Italia e nel mondo. Dai lupetti, i ragazzi più piccoli, fino a noi, i grandi del “clan”, impariamo tramite il gioco, la strada e la condivisone, a crescere, ma soprattutto a conoscere e credere in quelli che sono i valori fondamentali che spesso oggi vengono dimenticati, schiacciati dalla frenesia della vita quotidiana che non ci lascia la possibilità di pensare, di riflettere su cosa è davvero importante. “Nel vostro passaggio in questo mondo, che ve ne accorgiate o no, state lasciando dietro di voi una traccia” , scriveva il fondatore del nostro movimento Robert Baden Powell, perché ciascuno nella sua vita può impegnarsi davvero per cercare di cambiare le cose, per migliorare la realtà in cui vive e perseguire i propri ideali.

Ogni anno noi ragazzi del Clan scegliamo un capitolo, cioè un argomento che ci aiuti nel nostro cammino e che sviluppiamo informandoci, riflettendo, ma soprattutto sporcandoci le mani per cercare di lasciare qualcosa di concreto.

Quest’anno abbiamo scelto la Resistenza. Abbiamo iniziato con l’informazione storiografica: conoscevamo tutti a grandi linee chi erano i partigiani, cos’era la Resistenza, ma eravamo affascinati dalla possibilità di poter approfondire di più, di capire cosa è davvero successo, qua, nei nostri paesi e cosa davvero Valmala è stata.

Dopo la visione del film “Neve rosso sangue” abbiamo percorso alcuni sentieri della libertà, assaporando la strada con la fatica dello zaino, una strada permeata da una storia che saliva dai nostri piedi per colmare i nostri cuori e le nostre menti.

Abbiamo avuto la possibilità di parlare con Piero Balbo e con Angelo Boero, che ringraziamo enormemente per la disponibilità offertaci, che hanno condiviso con noi quella che è stata la storia di Valmala, la storia della Resistenza, un insieme di SCELTE, un insieme di persone che hanno dato la vita per compiere il loro dovere verso il loro paese.

Perché scoutismo è scelta; il bambino o l’adulto che decide di entrare nella nostra famiglia SCEGLIE di promettere e anche lui o lei promette sul suo onore di compiere il suo dovere verso il suo paese.

Per questo nella SCELTA dei partigiani e nella Resistenza ritroviamo i nostri valori scout; negli impegni e negli ideali di quegli uomini, che posti davanti a un bivio hanno deciso di lottare per la libertà, per la giustizia sacrificando la propria vita, vediamo la meta del nostro cammino e nel loro coraggio la spinta e la forza per agire.

“Quando la strada non c’è, inventala!”. Scriveva ancora Baden Powell. Quella strada è stata tracciata al prezzo della vita di molti, ora tocca a noi impegnarci, affinchè il loro ideale non si spenga mai..

Oggi molti giovani non sanno più scegliere: in un mondo così pieno di comodità a nessuno serve rischiare. Pochi seguono l’esempio dei partigiani e scelgono di impegnarsi per un mondo migliore, più umano.
In un mondo senza partigiani non esiste la libertà.

Angelo ci ha raccontato di non essersi mai pentito di quella scelta partigiana, per quanto lo abbia fatto soffrire.
Le sue sono parole importantissime. Oggi ci si pente delle scelte più superficiali, di poco conto, figuriamoci delle scelte per la vita.

I partigiani non si sono pentiti anche se hanno visto i loro compagni cadere nella neve, anche se hanno sofferto il freddo e la fame, anche se di notte sono stati costretti a scappare in silenzio dai fascisti. Non si sono pentiti perché sanno di aver lottato per il diritto più importante dell’uomo: la libertà.

Oggi c’è bisogno di più persone che, seguendo l’esempio dei partigiani, scelgano di lottare in nome di qualcosa. Non possiamo, come molti, pensare che non ci sia nulla per cui lottare: il mondo è pieno di ingiustizie, ma molti non vogliono rischiare di sporcarsi le mani per qualcosa che apparentemente non li riguarda.

Qui e oggi, più che mai, percepiamo che il mondo non è mai migliorato grazie a chi stava seduto a guardare. Il mondo è migliorato grazie a chi ha rischiato tutto, a chi si è alzato e si è sporcato, a chi strisciando nella neve gelida ha perseverato nella sua lotta di giustizia. Grazie a chi si è fatto partigiano.

Al giorno d’oggi, in cui tutto si fa caotico e sfuggente, l’importanza della memoria dovrebbe essere valorizzata. Eppure, ricordare non appartiene alla nostra generazione; troppo spesso, infatti, viene tralasciato e trattato con sufficienza. Molti giovani non percepiscono il ruolo centrale che il ricordo dovrebbe assumere nella nostra società. Come ha detto lo storico tedesco Erick Hobsbawm,‘la maggior parte dei giovani alla fine del secolo è cresciuta in una sorta di presente permanente, nel quale manca ogni rapporto […] con il passato storico del tempo in cui essi vivono’.

La memoria è il mezzo più potente con il quale l’uomo può migliorare se stesso e la società in cui vive. Seguire gli esempi del passato, imparare dagli errori, trasmettere insegnamenti ai posteri sono azioni che ogni buon cittadino deve necessariamente fare proprie. L’eccidio commemorato è, purtroppo, solo una delle terribili vicende che hanno interessato le nostre zone così da vicino ma che sono ai più sconosciuti.

E siccome “la Memoria rende il passato presente; la speranza rende presente il futuro”, noi speriamo in un avvenire in cui le testimonianze di chi ha vissuto determinati avvenimenti siano viste come opportunità uniche, veri tesori, privilegi. Ci auguriamo di vedere la nostra generazione incentivata a ricordare e a fare del potere della memoria strumento prezioso per la propria crescita.

Un celebre filosofo del Seicento, Thomas Hobbes, diceva:
”Nessun uomo può avere nella mente una concezione del futuro, poiché il futuro ancora non è. Ma dalla nostra concezione del passato noi creiamo un futuro.”
Conoscenza e consapevolezza delle nostre radici sono essenziali per la costruzione di stabili fondamenta per l’avvenire.
Sull’esempio di coloro che hanno speso e sacrificato la propria giovane vita per garantire un’Italia migliore e libera, vogliamo che il futuro di cui saremo protagonisti sia caratterizzato dai valori che animavano coloro che sono oggi commemorati, in particolare dall’impegno attivo nel migliorare concretamente la realtà in cui viviamo.

Il senso del dovere sta alla base di qualunque società di uomini. Ma si può distinguere tra un senso del dovere “civico-civile”, legato ad azioni concrete come pagare le tasse e non buttare i rifiuti per terra, ed un senso del dovere “morale”. Il primo viene dal rispetto che si ha per gli altri, per le persone che ci circondano e che appartengono al nostro stesso gruppo (può essere il gruppo dei concittadini, dei connazionali, anche solo dei compagni di classe o dei colleghi). Il secondo è più complesso e dipende dai valori che ciascuno ritiene assolutamente irrinunciabili; abbastanza importanti da giustificare dei sacrifici personali, anche enormi.

Il termine “dovere morale” è spesso abusato, tanto che diventa inflazionato e perde peso. La nostra generazione tende a sentire sempre più distanti molti “doveri morali”, proprio perché a volte non si coglie la profondità di queste parole. Questo non vuole essere un discorso moralistico per affermare che “i giovani di oggi non hanno più valori”, perché così non è. Tuttavia è innegabile che nel mondo moderno, con la quantità di stimoli intellettuali che giungono dall’esterno, sia più difficile selezionare alcuni fondamenti su cui basare la propria vita. E’ piuttosto diffusa la concezione che avere dei valori da sostenere in modo pratico sia più un passatempo che altro. Non si ha l’impressione di poter effettivamente cambiare qualcosa, e questo è il punto focale, centrale dell’intera questione. Sembra di essere tornati nella Grecia del 300 a.C. Prima i Greci vivevano nelle loro città-Stato, le pòlis. Ognuno non era che cittadino della propria pòlis. Gli abitanti di Atene erano Ateniesi, non Greci, ed erano anzi costantemente in guerra contro gli Spartani, che pure vivevano anch’essi in Grecia. Perciò ciascuno viveva in una società relativamente piccola, molto legata ai propri usi e costumi, e ciascuno si interessava al miglioramento della propria città-Stato. Quando poi Alessandro Magno, dalla Macedonia, venne e conquistò tutta la Grecia insieme a decine di altri paesi e ne fece un solo Impero, le cose cambiarono completamente, perché d’un tratto le decisioni erano prese dall’alto, in una qualche reggia lontanissima, e nessuno poteva farci niente. Ecco, i Greci allora iniziarono a disinteressarsi della politica e a farsi i fatti loro, tanto a decidere era l’imperatore. Oggi, non è molto diverso il modo in cui si sentono un sacco di giovani. Si è passati dall’Italia all’Europa, è tutto un mondo di nuovi problemi che si presentano e che, pare, vengono risolti in qualche palazzo a Roma, a Berlino, a Bruxelles…Solo che, rispetto ai Greci, per noi non c’è un imperatore che ci ordina cosa fare, ma abbiamo una democrazia che, per quanto imperfetta, ci permette di esprimere il nostro parere, insomma di far sentire la nostra voce. Una democrazia che affonda le sue radici nel sacrificio di chi ha combattuto per riscattare il nostro Paese. Eppure, proprio come ai tempi di Alessandro Magno, molti si spaventano di quanto è diventato grande il mondo di colpo. Pensano che, siccome ci sarebbero tantissime cose da fare, è meglio non farne nessuna, lasciare decidere all’imperatore. Visto che molti si sentono così, smarriti, i più giovani prendono esempio, diventano pessimisti, disillusi, anche cinici. Si sa che è più facile fare proprio un valore, sostenerlo, se questo è condiviso da molti. Ma qui si ritorna a prima, alla distinzione tra dovere civile e dovere morale. Se nessuno paga le tasse, nessuno le pagherà mai,e questo sarebbe il dovere civile. Ma il dovere morale è diverso, non dovrebbe dipendere assolutamente da quello che fanno gli altri. Anzi, dovrebbe essere per definizione qualcosa che si fa per se stessi. Dunque, perché i giovani non sentono più i propri doveri morali? Forse dipende dalla politica, o meglio dall’allontanamento dalla politica; magari dipende dall’educazione, dalla scuola e dall’esempio dei genitori. O forse non è vero. Forse i giovani hanno eccome un senso del dovere morale, anche se ad un occhio superficiale non sembra. E’ possibile che le lamentele sui giovani e la loro mancanza di valori siano davvero solo una cantilena priva di significato. Noi Scout siamo più di 200.000 in Italia, e per noi il “dovere morale” è un aspetto quotidiano della vita, che si ripercuote sui nostri rapporti con gli altri, con la religione e con la società. Di certo non siamo gli unici né, tantomeno, i migliori, ma il nostro metodo ci educa a migliorare costantemente, e l’esempio di altri (primi tra tutti i partigiani e le grandi figure della Resistenza) è fondamentale.

La scorsa estate, ad esempio abbiamo avuto l’occasione di incontrare Enrico Pieri, superstite dell’eccidio di Sant’Anna di Stazzema del 12 agosto 1944. Passeggiando insieme a lui in quelle stesse vie dove settantun anni prima si era consumata la strage, abbiamo compreso il valore della testimonianza. Ci siamo resi conto che spesso e volentieri, da studenti quali siamo, ci approcciamo alla storia come un semplice manuale fatto di eventi e di numeri. Numeri che se sono piccoli non valgono la pena di essere ricordati.

Nell’eccidio di Sant’Anna di Stazzema Enrico ha perso tutta la sua la sua famiglia, i suoi amici, la sua casa. I nazisti hanno massacrato 560 civili in poche ore. Ma 560 non rappresenta solo un numero. Si trattava di 560 vite, ognuna delle quali aveva una propria storia, un passato, delle prospettive. Enrico ci ha detto che la strage di Sant’Anna può sembrare nulla in confronto ai grandi stermini della storia: eppure, l’atrocità di quell’evento non è stato meno terribile di qualsiasi altra, ed il racconto che è uscito dalle sue labbra ne è la prova inconfutabile.

Enrico ci ha raccontato inoltre della sua decisione di emigrare in Svizzera dopo la tragedia. Ci ha detto che furono anni duri, poiché conobbe il disprezzo e l’emarginazione priva di memoria che spesso si riscontra nei migranti di oggi. E’ stata proprio la sua esperienza da migrante a far maturare in lui l’idea che più di tutte ci ha colpiti in quel pomeriggio di agosto: l’idea che ci fosse bisogno di un soggetto politico che riunisse i popoli dell’Europa e che facesse superare la tragedia della Seconda Guerra Mondiale. Proprio per questo lui per primo, al momento di scegliere la lingua da far studiare a suo figlio, tra francese e tedesco ha scelto il tedesco, poiché sapeva che l’integrazione europea non poteva fare a meno della Germania. Da qui è derivato il suo impegno costante per l’Europa Unita.

Dalle sue parole è emerso l’orgoglio di essere innanzi tutto cittadino Europeo, poiché, come ci ha detto, c’è sempre più bisogno dell’Europa ed è nostro dovere ricordare ogni giorno che l’Europa nasce a Sant’Anna di Stazzema, a Marzabotto, a Valmala, nei campi di concentramento ed in ogni luogo dove si è lottato per la libertà.

La fiducia che è scaturita dalle sue parole è stata disarmante: non potevamo credere che, dopo aver vissuto un’esperienza simile, si potesse riporre ancora una volta la propria speranza nell’umanità. Eppure, la stessa la stessa fiducia l’abbiamo riscontrata in Angelo Boero, che ci ha aperto ancora una volta gli occhi dicendoci:“Guai se si pensasse che l’uomo non può cambiare”.

Ebbene, noi per primi vogliamo essere partecipi di questo cambiamento. Vogliamo raggiungere un livello di consapevolezza che ci permetta di essere noi stessi portatori della memoria, per far sì che non si crei un divario troppo vasto tra passato e presente, e perché le testimonianze non vengano perse insieme al loro messaggio. Il domani lo crea ognuno di noi, e non abbiamo nessuna intenzione di tradire le aspettative di chi, in nome di un futuro migliore ha combattuto, ha vissuto, o ha perso la vita.

Per noi ‘Valmala’ significa questo: consapevolezza. Rendersi conto di quello che è successo a ragazzi come noi che sono stati chiamati ad una scelta di coraggio ritrovandosi ad essere considerati eroi. Rendersi conto che la storia insegna e, nonostante non si ripeta in tutto e per tutto, ci riserverà sempre situazioni in cui saremo tenutiti a decidere da che parte stare. Ma soprattutto, rendersi conto che con le scelte che compiamo ogni giorno, pur nella nostra semplicità, siamo noi i veri artefici del nostro destino.

Vogliamo ricordare i nomi di chi è caduto in questo luogo il 6 marzo 1945:

  • Ernesto Casavecchia,
  • Giorgio Minerbi
  • Pierino Panero
  • Andrea Ponzi
  • Tommaso Racca
  • Alessandro Rozzi
  • Ivan Pavlovic Volhov
  • Francesco Salis
  • Biagio Trucco

 

Per concludere, abbiamo scritto una lettera ai partigiani e alle staffette.

Cari partigiani, care staffette,

Non vi conosco, temo, ma mi piacerebbe molto. Siamo vissuti in periodi diversi, a qualche generazione di distanza, quindi sono destinato a vedervi sempre con quella patina che si crea attorno alla storia. Più miti che uomini o donne. Posso imparare alcuni nomi a memoria, ricordare gli avvenimenti più importanti, ma non posso parlarvi, interrogarvi, capirvi.

Quel giorno avete imboccato una strada. La strada che per tanti non rappresentava niente, per pochi rappresentava molto, per l’Italia rappresentava tutto. L’unica speranza di libertà per chi non poteva o non voleva ribellarsi, persino per il vostro nemico. Sì, perché anche chi ha premuto il grilletto sperando di colpirvi deve a voi il futuro dei suoi nipoti.

In un’epoca senza punti di riferimento, senza alcuna certezza, con le vostre azioni avete fatto la cosa giusta.
 Se vi immagino, vi vedo di spalle, mentre salite uno dei sentieri impervi di queste valli. Ma vi seguo da lontano, non vi sto a fianco. Non potrei.

Eppure c’è una parte di me a cui serve pensare che non camminate con la schiena poi tanto dritta. Che incespicate, ogni tanto. Che, di tanto in tanto, vi chiedete se davvero sia questo il vostro dovere. Ho bisogno di pensare che avete pianto, a volte, perché so che io lo farei. E immaginando il vostro dolore, percepisco il vostro coraggio, e capisco che l’eterna grandezza della vostra lotta sta nel fatto che è stata condotta da uomini semplici, non eroi. Capisco che ognuno di noi, con quotidiana fatica, può essere partigiano.
 Oggi, a distanza di oltre settant’anni, io guardo a voi con tutta quella stima, quell’ammirazione, quel rispetto che meritate per aver compiuto la vostra scelta di coraggio.
Oggi più che mai sento il dovere di mostrarvi che avete riposto la vostra fiducia in buone mani, e l’unica cosa che può ripagare il vostro sacrificio è una promessa. 
La promessa che proseguiremo la nostra lotta per la libertà, che sceglieremo sempre la strada che va in salita, che non dimenticheremo.
 La promessa che lasceremo il mondo migliore di come lo abbiamo trovato.

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